Vesuvio Caffè
l'ingordo
Critica del giudizio gastronomico
La
poesia del Vesuvio Caffè e il veleno del San Paolo
di Antonio Medici
In piazza Gabriele D’Annunzio, di fronte all’ingresso
della curva B dello stadio San Paolo, il Vesuvio Caffè è un bar accogliente e
goloso anche nei momenti di caos che precedono le partite.
L’abbiamo scoperto in occasione di Napoli – Arsenal, io e
mia figlia Anna Stella. Giunti con largo anticipo per poter goderne di quella
coinvolgente ed esaltante atmosfera prepartita, vagavamo alla ricerca di un
buon caffè e di gadget della partita, per aggiungere un nuovo pezzo alla
collezione delle partite più svariate. Ci piace il calcio, ci piace il calcio
allo stadio, ci piace il coinvolgimento emotivo che solo la confusione con
migliaia di tifosi può dare. Abbiamo tifato a perdi gola per squadre per le
quali mai avremmo immaginato di tifare, abbiamo tifato anche per singoli
giocatori, per la classe, la bellezza delle loro gesta. Abbiamo avuto diverse
tessere del tifoso, sin quando sono esistite, rammaricandoci che non esistesse
una tessera del tifoso di calcio e basta. Il vulnus del sistema è proprio in
questo, non riconosce l’esistenza del tifoso di calcio, ma solo del tifoso di
una squadra.
Il Vesuvio Bar lo abbiamo scorto da lontano, colpiti da
chissà cosa, e lì ci siamo diretti per un caffè. Ottimo, in tazza bollente. E’
stato il primo per Anna Stella, cui ho raccontato il culto napoletano per il
caffè che include la tazza bollente come non si vede in nessuna altra parte
d’Italia. Rimanendo a cincischiare nel bar, un grande forno verticale e piastre
bollenti dietro un bancone di ogni ben di dio della cucina casalinga ha
stuzzicato una fame che non poteva essere un bisogno di nutrimento, ma solo
golosità. Provole, polpette, parmigiane, porchette, frittate di maccheroni,
l’enciclopedia completa della napoletanità gastronomica. E poi l’apoteosi della
lussuria gastronomica, la coda di un filone di pane, svuotata della mollica,
riscaldata al forno, riempita di ciò che meglio aggradava a due giovani
avventori. Impossibile resistere. Provola, polpette, melanzane a funghetto è
stata la scelta.
Questo ben di dio di energia, ingurgitato con la scusa di
avere sufficiente forza per sostenere la rimonta degli azzurri, è stato
bruciato poco dopo all’ingresso dei distinti superiori. Quando un’hostess e un
buttafuori vestito di nero, di cui a tutt’oggi non ho compreso il ruolo, se
della società Calcio Napoli, della Polizia, del gruppo degli steward, hanno
annichilito ogni nostra euforia e pure il mio decoro, la mia dignità di uomo e
padre, prima vietandomi l’ingresso perché deambulante con stampelle e poi
sequestrando le stampelle e la mia stessa persona, costretto per la durata
della partita a restare immobile al mio posto, esposto a qualsiasi rischio,
impossibilitato anche a far fronte all’eventuale bisogno di muoversi. Le
stampelle abbandonate in un anfratto non noto e incustodite.
Un veleno difficile da smaltire.