Madonnina del Pescatore - giancristiano desiderio

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Madonnina del Pescatore

l'ingordo
Critica del giudizio gastronomico

 
Meglio la cucina che l’autografo di Cedroni
di Antonio Medici

Il mare d’inverno, in questa primavera invernale, riserva sensazioni poco scontate, uno spleen che allarga i pori dell’anima al rumore schiumoso delle onde e a quello vitreo, pungente dei granelli di sabbia fucilati dal vento contro le doghe e i tubolari bianchi dei lidi letargici. All’ora di cena, il maggio uggioso di quest’anno spande un bagliore grigio polveroso, ravvivato o incupito, a seconda dei tumultuosi, quanto le onde, sobbalzi d’umore, da riflessi ocra. Così la via che costeggia il mare di Senigallia e accompagna alla Madonnina del Pescatore, il ristorante bi - stellato di Moreno Cedroni, diritta e piatta come una fettuccina, la si avverte come fosse il bordo merlettato di una mafaldina.

La penetrante bellezza del contesto svanisce valicata la soglia del locale, quando si resta travolti dalla banalità di un’architettura senza identità, qualcosa di analogo a una borsa Burberry’s o a un foulard Louis Vuitton, rifugi di chi non sa essere elegante con personalità, il segno omologato e omologante di noiose indoli.

È un peccato perché la cucina di Cedroni di personalità ne ha da vendere. La sua cifra è spiegata subito dalla frittatina, frutti di mare, erbe di campo. Un inno jazz, intonato con armonia nel disagevole campo dei sapori forti.
Nello spazio che vorrebbe alludere a un chiosco di canne, sul pavimento rosso passione e sotto mille lucine confuse al soffitto, Paolo fa il regista fantasioso e istrionico di un servizio elegante e ineccepibile che ha in Ilaria il giovane talento, capace di empatia e tocchi di classe. A latere si aggira discreto il sommelier, un gigante incurvato dagli stappi, figura teatrale, muto che esprime a gesti sapienza e pathos.

Testa e collo di ricciola, salsa di carote e zenzero implicano lavoro di polso. Fa giustizia questa portata di parti che l’ignoranza dei commensali potrebbe indurre a trascurare. Il lavoro di estrazione della polpa ha il suo ristoro nella pienezza del sapore e nella soddisfazione di bocconi senza spine.
Il menù “vicino alla tradizione” si apre, poi, agli spaghetti con pannocchie, carciofi, fegato grasso d’oca e caffè, che sono più lunghi nella pronuncia che non nel gusto e ai più gratificanti tortellini di parmigiano liquido, carne cruda battuta al coltello e salsa di pomodoro e basilico.

Da una carta che non impressiona, i calici in abbinamento sono appropriati e serviti senza pidocchieria.
Il guazzetto qui è al forno ed è ottimo, arricchito da sottili quanto saporiti filetti di spigola cruda. Un piatto che è il paradigma di come il genio, con semplicità e tecnica, possa migliorare, senza stravolgerle, le preparazioni cosiddette tradizionali.
Buona la “albicocca che voleva essere Sacher”, una sorta di destrutturazione della torta austriaca,

Il mondo della gastronomia stellata, l’abbiamo ripetuto più volte in questa rubrica, vive di pajette, autocelebrazione e scarsa umiltà. Accade così che Cedroni, ritenendo di fare omaggio ambito, cede alla volgarità di autografare, non richiesto, il menù ripiegato in un bell’astuccio di cartoncino azzurro.

Madonnina del Pescatore
Senigallia (An) - Via Lungomare, 11
Tel. 071 698267
Menù degustazione 130/150




Blog di critica, storia e letteratura di Giancristiano Desiderio.
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