Pasta stregata
l'ingordo
Critica del giudizio gastronomico
La pasta stregata
di Antonio Medici
Un insolito asse tra la costa e l’area interna della Campania, tra estro e tradizione, audacia e sapienza. Vengono in mente queste traiettorie nel raccogliere la storia che ha legato la coppia di imprenditori napoletani, i fratelli Francesco e Marco Marrone, a un piccolo, storico pastificio artigianale del Sannio, Pastai Sanniti, rinominato, dopo il sodalizio di due anni orsono, Antico Pastificio Sannita. Si fosse trattato di una cruda e secca vicenda societaria, non ce ne occuperemmo in questa rubrica. Sennonché l’alchimia partenopeo-sannita ha partorito la “pasta stregata” ovvero una pasta arricchita dall’aroma del famigerato liquore Strega, prodotto nella città del noce e delle streghe, appunto.
Nel mercato contemporaneo dell’alimentare, caratterizzato dai prodotti etichettati “senza” qualsiasi cosa, dal glutine, al sale, all’olio di palma (provare a entrare nella più vicina drogheria per verificare quanti “senza” si leggono sugli incarti) realizzare un prodotto alimentare con l’aggiunta di un ingrediente, per altro normalmente estraneo e inatteso, è un atto sovversivo.
Una sovversione che realizza anche, volendo usare un linguaggio manageriale, una grande innovazione di prodotto. Negli scaffali della pasta, difatti, le novità si limitano ai nomi dei formati, ai pacchi e alle carte, alla narrazione delle farine impiegate, presunte antiche, al più si trovano paste realizzate con legumi, ma il prodotto resta lo stesso e, anzi, i pastai cercano di spiegare che il gusto è quello classico, tradizionale, antico, di sempre.
La pasta stregata, invece, giunta sul mercato dopo lunghe sperimentazioni, si propone per un gusto nuovo.
Ma com’è questa pasta stregata? L’abbiamo provata senza condimento e in tre preparazioni elaborate ad hoc dal cuoco Marco Pietrantonio, del Cotton Club di Benevento: con crema di zucchine, pomodori secchi e arancia, con cuori di carciofo e mele, con pesto di melanzane, rucoletta e limone.
Quest’ultima ci parsa la ricetta più riuscita perché enfatizza ed armonizza il retrogusto stregato della pasta, un ricordo estremamente gradevole del liquore sannita dalla ricetta segreta.
La golosità del cronista l’ha spinto, in segreto, a un’ulteriore sperimentazione con ragù bianco di carne e una spolverata di cacao. Gusto delizioso.
La pasta stregata ha il merito di creare un legame esclusivo con un territorio e di fare di questa identità un contenuto di gusto peculiare. Pare questo un preciso disegno di marketing del pastificio, che nello scorso anno ha brevettato il formato “papalina”, concavo come una scodellina, goloso per un verso, perché raccogliere il condimento, per altro allusione esplicita al copricapo del Pontefice e al regno che ha segnato la storia di una parte del territorio della Campania.
Coniugare golosità, gusto e storia, è l’impresa, insomma, dell’Antico Pastificio Sannita, il cui cuore batte di managerialità partenopea e cocciuta artigianalità sannita.